IL SUPERUTENTE

La novella Il superutente è stata pubblicata il 25 maggio 2010 da Giulio Mozzi su vibrisse, bollettino nell'ambito de La Gettoniera, iniziativa di scouting letterario per autori inediti.

«L’uomo che sta comunicando con voi è il più celebre depravato della propria epoca. Tutti mi conoscete col nome di Elio Girone e tutti provate ribrezzo per me».


Un racconto fantabarocco su tecnologia, mezzi di persuasione e passione carnale.

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ALCUNI COMMENTI DEI LETTORI DI VIBRISSE

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«Ho apprezzato molto questo testo di Di Salvia, oltre ad essere molto fedele con le caratteristiche delle persone appassionate d’informatica, si fa capire anche da chi non appartiene al mondo tecnologico, pur se molti termini usati sono specifici di quel settore. L’ho apprezzato soprattutto se paragonato agli altri pubblicati dalla Gettoniera perché vi si rispetta una struttura linguistica che lo rende un racconto per tutti, dove per tutti non intendo popolare. Nel testo proposto il lessico e le strutture sintattiche, oltre alla punteggiatura, assolvono al loro scopo precipuo: comunicare nel senso di entrare in contatto con gli altri, con tutti. Trovo che chi usa il linguaggio per diffondere il proprio pensiero abbia sempre la responsabilità di farsi capire». (Barbara)


«Sono riuscito a leggere solo le prime pagine, poi ho voluto rinunciare perchè trovo il racconto “costruito”, artefatto e in definitiva rivoltante. A me appare un’opera presuntuosa: è come se l’autore volesse dirci “guardate come sono bravo a giocare con le parole…” Mi sembra appunto il lavoro di un giocoliere, quindi fine a se stesso». (Antonello Farris)

« Antonello: non ho niente da ridire sul tuo giudizio (è un giudizio di gusto, e quindi è indiscutibile: se questo racconto non ti piace, non sarà certo un’argomentazione a fartelo piacere). Ma faccio qualche appunto sull’uso delle parole. Un racconto è un “artefatto”: i racconti non esistono in natura. Quindi, che c’è di male se un racconto è “artefatto”? Un racconto è una “costruzione”. Un racconto non “costruito”, sarebbe forse leggibile? (Temo di no). Luca Tassinari giudica il racconto “ben architettato quanto alla trama e coerente quanto al linguaggio misto geek-neuroscientifico”: queste parole suggeriscono un giudizio evidentemente positivo, e Luca loda proprio il racconto in quanto “artefatto” ben “costruito” (poi gli dispiace per altre ragioni, ma sono appunto altre ragioni). Per desiderare di pubblicare una propria opera, non c’è bisogno di almeno un po’ di presunzione? Di pretenziosità? Di vanità? O: qual è la parola giusta? I giocolieri di strada fanno spettacolo, e la gente si ferma a guardarli e prova piacere a guardarli (possiamo non condividere questo piacere, ma sta di fatto che c’è chi prova piacere a guardarli). Il loro gioco non è quindi “fine a sé stesso”. (Se il racconto ti pare “fine a sé stesso”, non ho niente da ridire: ma trovo che il paragone con il “lavoro da giocoliere” sia fuorviante». (Giulio Mozzi)


«Che noia. Se questo è uno degli sforzi che la letteratura nuova compie per capire il mondo in cui siamo e quello che verrà, meglio leggere Cormac McCarthy. Se non resiste alla lettura e alla rilettura, vuol dire che è niente. Come Sanguineti: lo leggevano alla radio e mi chiedevo: ma ci sono due versi due che qualcuno terrebbe a mente per ripeterseli?». (Gabriele)


«L’autore dal nome chilometrico (mettiamoci d’accordo, dalla realtà alla finzione letteraria: Francesco Paolo Maria di Salvia è già un programma). Il suo lungo racconto mi è piaciuto. L’ho letto con l’avidità di chi percepisce l’uso sapiente della terminologia. Qui ho capito che forse quando l’ha scritto aveva, come si dice, già in mente il suo lettore. Ma Mozzi, almeno cosi ricordo, dice sempre che “questo è il testo”. Voglio interpretare: lasciate da parte ogni altro giudizio: concentratevi su ciò che è scritto, forse, anzi, di più di come è scritto. Questo racconto è scritto bene. Questo racconto accarezza qualcosa che nella mia mente ha fatto capolino più volte: dove ci porta la tecnologia ? Scenari da Blade Runner, a me son cose che affascinano, e devo dire, s’è pure trattenuto. L’algoritmo dell’Amore, lungi da una contigente assonanza, è il nodo oscuro verso il quale stiamo scivolando. Svelare che si tratta dell’arte della delega. Dalla chimica dei sentimenti alla logica ferrea (e per niente fuzzy, al momento, delle macchine). E’ la pigrizia a fotterci. Come sempre». (Cletus)


«Questo mi è piaciuto. L’autore sa scrivere (è una notizia) con buon ritmo incalzante. Il linguaggio da “smanettoni” non è esagerato, anche se può mettere in difficoltà chi si ostina a snobbare la tecnologia. L’idea del computer femmina è singolare e qui funziona. La compenetrazione uomo-macchina è descritta con buona progressione; mi ha ricordato, a tratti, le immagini di un vecchio film paranoico giapponese: “Testsuo, l’uomo d’acciaio”, ma quella è un’altra storia. Il Superutente ha il massimo dei privilegi d’acesso alla macchina e qui va anche oltre, sino all’atto d’oltraggio e d’amore supremo. Un bel racconto fantabarocco». (GabrieleG)